La decisione dei cittadini britannici di uscire dall’Unione aveva lasciato sgomenti i governi europei: in un momento di crisi, si affondava un progetto nato sulle ceneri della distruzione umana, economica, politica, del continente europeo, e che ne aveva accompagnato la ricostruzione, il consolidamento, il ritorno alla pace. Il richiamo alla nostra storia è stato forte, in occasione del convegno organizzato dalla nostra Sezione di Asti: si è ricordato che la Resistenza europea fu la prima vera espressione di massa delle democrazia rinascente.
Nel vuoto odierno del discorso dei partiti politici, diventati intercambiabili come i loro rappresentati, il solo progetto, nella ricchezza delle sue diverse espressioni, è quello europeo, quello dell’unione dei popoli del continente per difendere l’antica civiltà a confronto con le sfide moderne, ma non solo: per porre solide radici al nostro presente travagliato e al nostro futuro pieno di incognite.
Sembrava che la brexit lasciasse i cittadini dell’Unione piuttosto indifferenti, già indispettiti dalle esigenze di un Governo inglese mai completamente convinto dell’adesione all’Unione. La minaccia rappresentata da un populismo senza altro progetto che la chiusura su loro stesse delle nazioni Gran Bretagna, Francia, Italia, e a catena gli altri ha creato invece la reazione che era necessaria da tempo, anche contro una Unione Europea appesantita da una crescita dei suoi membri che non si è accompagnata da una ampia capacità di immaginare se stessa sul piano organizzativo, programmatico e dei valori. Sempre d’attualità la celebre frase di Jacques Delors: “Non ci si innamora di un mercato”.
La Francia, paese che è stato spesso accusato di avere frenato o impedito la crescita dell’Unione si trova oggi a mandare un segnale decisivo attraverso la sua capacità di portare alla Presidenza della Repubblica, asse del sistema istituzionale francese, un giovane tecnocrate che ha fatto dell’Europa uno dei progetti più importanti del suo programma politico.
Lungi da essere un’espressione del presunto conservatorismo nazionale, l’alta amministrazione francese ha guidato da diversi decenni una crescita controllata della sua dimensione europea, in armonia con le esigenze dell’economia e le pressioni di una società che deve accogliere masse di nuovi cittadini, integrare nuove culture.
Figlio prodigio di questa alta amministrazione, Emmanuel Macron si è presentato alla sua gente, la sera della sua elezione, sulle note dell’Inno alla Gioia, fatto inimmaginabile che ha lasciato i commentatori sbigottiti e i militanti europeisti senza voce. Accanto alle bandiere tricolori sventolavano in Piazza del Louvre le bandiere blu stellate. Ci si è chiesto poi, in troppi, perché il Presidente eletto aveva dedicato all’Europa un primo discorso: nessuno o quasi si era ricordato che il 9 maggio è la festa dell’Europa.
Noi avevamo anticipato, ad Asti, una speranza rinnovata. E siamo pronti a sostenere un progetto per l’Unione Europea, non per una restaurazione ma per una rivoluzione. I lacci e lacciuoli che si tesserono attorno allo stesso Garibaldi per impedirgli di fare l’Italia come l’avrebbe voluta si sono tessuti attorno alle istituzioni europee, a colpi di burocrazia e di lobbies.
Torniamo all’essenziale, voluto da Altiero Spinelli, erede di tanti esuli nella fiera Svizzera, nell’Europa libera, in America, in ogni luogo, e che aspettavano il ritorno della libertà.
Noi non possiamo non pensare al messaggio di un assertore degli Stati Uniti d’Europa che fu anche un “donatore di regni”, colui che, presidente del Congresso della Pace di Ginevra nel settembre 1867, combatté a Mentana per conquistare all’Italia novella la sua capitale, Roma, per fondare la nostra nazione. Essa avrebbe con le altre nazioni la Francia, la Germania in fieri ancora mascherata sotto la Prussia fondato la pace in Europa. Giuseppe Garibaldi consigliò per gli Stati della nuova Europa un equilibrio stabile attraverso giuste istituzioni.
Dopo di lui è continuata la lotta dei suoi successori, i Garibaldi ma soprattutto i garibaldini, per la libertà della Grecia, nel 1897 e nel 1912, a fianco della Francia aggredita nel 1914, in Spagna, nella Resistenza civile e militare.
Sulle tracce di Giuseppe Garibaldi nell’anno in cui celebreremo la campagna dell’Agro Romano, ricorderemo il Congresso di Ginevra del settembre 1867 come parte di quei grandi momenti della storia d’Europa e del nostro patrimonio ideale. Parteciperemo con le autorità italiane in Svizzera ad un incontro promosso dall’ANVRG per ricordare, senza dimenticare mai coloro che hanno affrontato sofferenze e morte per difendere la patria, che devono essere presenti nella nostra cultura moderna tutti i tasselli posti alla costruzione della pace. Grazie al nostro Consolato d’Italia a Ginevra, organizzeremo a breve un incontro con la comunità italiana e le associazioni combattentistiche e non, per preparare in un secondo tempo un incontro all’Università, che si trova sul luogo dove si ergeva la sede del Congresso della pace, deponendovi una targa a ricordo del 150° dell’evento.
Il progresso della scienza, lo sviluppo industriale, la protezione dell’ambiente, la crescita delle istituzioni comuni nel segno di una fratellanza vissuta, ecco i grandi temi garibaldini che noi dobbiamo portare in Europa. Per questo entriamo nel Consiglio Italiano del Movimento Europeo, i cui due ultimi presidenti prima di Virgilio Dastoli, discepolo di Altiero Spinelli, furono Giorgio Napolitano e Valerio Zanone, che non dimentichiamo.
Diamo fiducia ai nostri governanti e ai governanti delle nazioni partecipi con noi nel grande progetto di una “nuova società”, grande speranza di Jacques Delors, citato anche da Emmanuel Macron come uno dei maggiori artefici dell’Unione. Noi vi portiamo, come fece Garibaldi a Ginevra, i valori dei sansimoniani, dei positivisti, dei repubblicani, per ricordare che una Repubblica compiuta e la Repubblica Universale sono ancora i nostri scopi.